Oscar 2022: guerra e pace nella Mecca del Cinema

Si è chiusa la 94ª edizione degli Academy Awards, una serata tragicomica che forse è lo specchio dei nostri tempi

 La nostra vita è paralizzata: l’emergenza Covid prima, e la guerra in Ucraina poi, sembrano parte di un flusso asfissiante che tenta di soffocare il nostro disperato desiderio di tornare alla normalità. Ci troviamo lacerati fra l’impulso di dedicarci con serenità alla nostra quotidianità, e quello morale di preoccuparci di ciò che sta accadendo nel mondo.

Non è strano quindi che questa complessa tensione invada anche una delle più attese occasioni mondane: la cerimonia di premiazione degli Oscar di quest’anno è stata un malriuscito tentativo di conciliare frivolezza e umorismo con serietà e riflessione. Ne è nata una serata bizzarra, che ha visto convivere battute di cattivo gusto con discorsi impegnati, come se si cercasse disperatamente di tenere le fila di un “politically correct” senza troppa convinzione.

Gli Oscar sono gli Oscar, e la magia di questa cerimonia non potrà mai essere cancellata; ma è davvero deprimente constatare che questa edizione verrà ricordata soprattutto per lo schiaffo dato da Will Smith al comico Chris Rock. Un momento imbarazzante e vergognoso, che resterà iconico nella storia: la violenza irrompe anche nelle sale dorate del Dolby Theatre, come se la guerra che sentiamo incombere sul nostro mondo ne avesse valicato le porte.

Ma al di là di queste cupe riflessioni, gli Academy Awards di quest’anno hanno deluso anche per un altro motivo: l’Italia ne è restata fuori. Niente per Paolo Sorrentino, che correva per il miglior film straniero con il suo bellissimo E’ stata la mano di Dio; niente per Enrico Casarosa e il suo cartone animato Luca; e niente per Massimo Cantini Parrini, in gara per i costumi di Cyrano. Un epilogo amaro, ennesima ambizione internazionale spezzata per il nostro Paese dopo la recente esclusione della Nazionale azzurra dai Mondiali di calcio.

A prevalere sui candidati italiani sono stati comunque dei lavori eccellenti: il miglior film straniero è stato l’imponente Drive my car del giapponese Ryusuke Hamaguchi, un serrato confronto esistenziale “on the road” fra un regista teatrale e la giovane autista che lo accompagna in un viaggio; il miglior film di animazione è stato il magnifico Encanto di Byron Howard e Jared Bush, una favola sull’emarginazione che vede protagonista una famiglia colombiana in cui tutti i membri hanno poteri straordinari, tranne la giovane Mirabel; e infine il premio per i migliori costumi è andato al barocco Crudelia di Craig Gillespie, grazie al lavoro di Jenny Beavan.

Il vincitore ufficiale di questa edizione è stato CODA – I segni del cuore di Sian Heder, che si è aggiudicato la statuetta come Miglior Film; la pellicola, storia dell’unica ragazza udente in una famiglia di sordomuti, con il sogno di diventare cantante, ha vinto anche i premi per il Miglior Attore non Protagonista (Troy Kotsur, primo attore sordo ad ottenere questo riconoscimento) e Migliore Sceneggiatura non Originale. Si tratta del primo lungometraggio distribuito da una piattaforma di streaming (Apple TV+) a vincere come Miglior Film.

E’ un peccato che l’opera di Sian Heder, una pellicola tutto sommato buonista e di facile presa sul pubblico, sia stata preferita al cupo Il potere del cane di Jane Campion. Il lavoro della regista neozelandese, un’affascinante destrutturazione del cinema western, si è portato a casa una sola statuetta (per la Miglior Regia) su ben 12 nomination. Sorte simile anche per l’ottimo Belfast di Kenneth Branagh, pellicola semi-autobiografica ambientata nella capitale dell’Irlanda del Nord alla fine degli anni ‘60: il film ha vinto una sola statuetta (per la Migliore Sceneggiatura Originale) su 7 candidature.

Dimenticati anche gli eccellenti Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson e La fiera delle illusioni – Nightmare Alley di Guillermo del Toro. A fare incetta di riconoscimenti è stato invece Dune di Denis Villeneuve: la nuova e sopravvalutata trasposizione del capolavoro letterario fantascientifico di Frank Herbert ha vinto 6 premi “tecnici” su 10 nomination (Migliore Fotografia, Migliore Colonna Sonora, Miglior Montaggio, Miglior Sonoro, Migliore Scenografia e Migliori Effetti Speciali), ma ha lasciato fredda la giuria sul piano dei contenuti.

Miglior Attore Protagonista è stato Will Smith per la sua magistrale interpretazione del padre di Venus e Serena Williams in Una famiglia vincente – King Richard di Reinaldo Marcus Green. L’attore è salito sul palco per ringraziare poco dopo l’increscioso episodio che lo ha visto colpire con uno schiaffo Chris Rock, in seguito ad un’infelice battuta del comico sull’alopecia della moglie Jada Pinkett. «La vita imita l’arte. L’amore ti fa fare pazzie», ha detto Smith con le lacrime agli occhi. «Richard era un feroce difensore della sua famiglia: in questo momento nella mia vita sono sopraffatto da quel che Dio mi chiede di fare».

Statuette e schiaffi a parte, non sono mancati momenti commoventi (il discorso di ringraziamento nella lingua dei segni di Troy Kotsur, la celebrazione dei cinquant’anni de Il Padrino, con Al Pacino, Robert De Niro e Francis Ford Coppola riuniti insieme, il lungo applauso per la 76enne Liza Minnelli, in sedia a rotelle sul palco assieme a Lady Gaga), e momenti di impegno sociale (i diritti LGBT+ evocati da Jessica Chastain, Migliore Attrice Protagonista per Gli occhi di Tammy Faye, e Ariana DeBose, Migliore Attrice non Protagonista per West Side Story di Steven Spielberg).

Un frammento della serata è stato anche dedicato alla guerra: l’attrice Mila Kunis (di origini ucraine) è salita sul palco per un breve discorso. «Non si può non essere toccati e in soggezione davanti a coloro che trovano forza nel continuare a combattere attraverso questa oscurità inimmaginabile» ha detto l’artista, senza mai nominare il suo paese. E’ seguito un minuto di silenzio, a supporto del popolo ucraino. Non c’è stato il tanto atteso collegamento in diretta con Zelensky, e forse è stato meglio così.

Immancabile il segmento “In memoriam” per celebrare i protagonisti del cinema che ci hanno lasciato recentemente: in questa edizione, anziché per il tradizionale montaggio di foto con sottofondo musicale, si è optato per uno show di gospel e interventi dal vivo (francamente bizzarro), in cui si è ricordata la scomparsa, fra gli altri, di Sidney Poitier, Betty White, Ivan Reitman e William Hurt. Nel segmento ha trovato posto anche la nostra Lina Wertmuller, ma è stato imperdonabile non includere anche Monica Vitti.

Ci sarebbe tanto altro di cui parlare, come le battute di cattivo gusto sul Covid delle conduttrici Wanda Sykes, Amy Schumer e Regina Hall, o l’esclusione dalla diretta di premi importanti come editing, colonna sonora originale e suono (consegnati un’ora prima della trasmissione per snellire la serata). Ma il risultato non cambierebbe: questa 94ª edizione è stata una cerimonia sconcertante e per molti versi deludente, condita da gaffe, momenti grotteschi e decisioni discutibili.

Il Cinema si alimenta dei nostri sogni e speranze: è logico che ne risenta se le nostre anime sono fiaccate dalle sventure che ci stanno perseguitando. Ma dobbiamo avere pazienza, e attendere: come la Settima Arte ci insegna, a volte il lieto fine è dietro l’angolo.

 

 

 

 

Francesco Fiorillo

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