Saviano a Sanremo: “Ricordare non è un atto passivo”
di Francesco Fiorillo-
Sul palco dell’Ariston, l’appassionato monologo dello scrittore napoletano, nel trentennale della morte dei giudici Falcone e Borsellino.
Roberto Saviano è sempre stato un personaggio controverso: eroe coraggioso per i suoi ammiratori, ipocrita in cerca di fama per i suoi detrattori. La sua figura incarna un conflitto: è possibile ottenere successo personale nel perseguire un obiettivo socialmente nobile, e contemporaneamente conservare la propria sincerità? E se la crociata dello scrittore contro la mafia fosse solo un modo per ottenere consenso, o peggio, per alimentare la propria vanità?
Viviamo in tempi cinici: è difficile dare fiducia alle parole di chi ci mette in guardia contro i mali del mondo, perché la spettacolarizzazione della TV ha corrotto la nostra capacità di percepire l’onestà delle persone e delle loro intenzioni. In una società in cui tutti desiderano apparire, non sembra possibile che qualcuno salga su un palco solo perché è moralmente giusto farlo.
Eppure, è proprio quello che è successo durante la terza serata della settantaduesima edizione del Festival di Sanremo: Saviano è entrato in scena non per ricevere applausi, ma per parlare con il cuore. Chiamato dalla RAI a commemorare le figure di Falcone e Borsellino a trent’anni dalla loro scomparsa, lo scrittore napoletano si è lanciato in un monologo emozionante, che ha quasi fermato il tempo nel teatro Ariston.
Introdotto dalle parole di Amadeus, che ha ricordato i nomi degli agenti di scorta e dei poliziotti morti nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, Saviano ha subito cercato di chiarire il senso del suo intervento: non semplicemente ricordare Falcone e Borsellino, ma riportarli in vita.
Ricordare una persona non è un atto passivo, ha spiegato, ma un modo per metterla nel proprio cuore (la sede della memoria, per gli antichi), perché possa continuare a vivere battendo nel nostro petto.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha continuato lo scrittore, hanno incarnato il coraggio di prendere una scelta; perché non scegliere non vuol dire restare neutrali, ma rendersi complice di chi commette il male. E la scelta dei giudici fu davvero coraggiosa, considerando il destino che toccò a chi intraprese la loro stessa crociata. Saviano ha ricordato i nomi di Rocco Chinnisi, Cesare Terranova, Pietro Scaglione, Rosario Livatino: tutti martiri che non hanno avuto paura di fare il loro dovere, nonostante il pericolo a cui si esponevano.
Eppure, Falcone e Borsellino non furono considerati eroi quando erano in vita; tutt’altro, vennero accusati di essere esibizionisti, e di pubblicizzare le loro gesta. Ancora una volta, il cinismo non permise ad alcuni di comprendere l’onestà delle loro intenzioni; ma il fango che gli venne gettato addosso, ha dichiarato Savino, non ha sporcato il loro esempio.
L’ultima parte del monologo lo scrittore l’ha dedicata a Rita Atria, una diciassettenne che come tante altre era davanti la televisione nel 1992 per seguire il Festival di Sanremo. Ma Rita non era davvero una ragazza come tante: aveva fatto una scelta coraggiosa, aveva scelto di non restare neutrale di fronte al male.
L’adolescente di Partanna, figlia di un piccolo boss, si era ribellata a quella mafia che le aveva ucciso il padre e il fratello, diventando la più giovane testimone di giustizia italiana; messa sotto protezione, la ragazza venne guidata nel suo difficile percorso da Paolo Borsellino, che divenne per lei una figura paterna.
Grazie alla testimonianza di Rita, che fornì agli investigatori una prospettiva unica, “intima” dell’ambiente criminale in cui era cresciuta, molti mafiosi furono arrestati. Ma la ragazza non era un’eroina. Voleva semplicemente era essere libera: libera di scegliere chi amare, di curare il proprio corpo, di passeggiare da sola; tutte cose che le erano state proibite dalla sua famiglia.
Quando Rita seppe della morte di Borsellino, scelse di togliersi la vita, percependo quella tragedia come una crudele beffa al suo desiderio di libertà; poche settimane prima, aveva sostenuto gli esami del terzo anno dell’istituto alberghiero che frequentava, scrivendo un tema sull’attentato a Falcone.
Nel momento più commovente del suo monologo, Saviano ha voluto leggere un brano dal tema della ragazza.
«Ci hanno voluto dire che sono i più forti», scrisse Rita. «L’unico sistema per eliminare questa piaga, è rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia che al di fuori c’è un altro mondo, in cui sei trattato per come sei, non perché sei il figlio di questa o quella persona. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare?».
Rita, Falcone e Borsellino non furono semplicemente coraggiosi; fecero la scelta difficile di non restare in silenzio, di non restare al sicuro, ma di uscire allo scoperto per affrontare una minaccia alla loro dignità e libertà. Non per fama, non per soldi, ma per dare un esempio, come nel bellissimo verso del poeta Ernesto Cardenal che Saviano ha voluto citare in chiusura del monologo:
«Credevano di seppellirti, ma quello che hanno fatto è seppellire un seme».
