Dalla “Prova del Cuoco” al ristorante di Rocco Siffredi a Budapest. Intervista allo chef campano Franco Marino
Franco Marino, chef di origini campane, ha conquistato il palato di molti con la sua cucina rivoluzionaria ma allo stesso tempo legata ai profumi, agli odori e ai sapori della sua terra natia.
Una ventata di novità e di originalità, la sua, che proviene dalle molteplici esperienze che l’executive Chef ha avuto nel settore gastronomico in tutta Europa e non, dall’Australia a New York.
Vorremo conoscere più nello specifico la grande personalità che si cela dietro al ruolo che ricopri raccontaci un po’ di te e di com’è nata la passione per la cucina e per il lavoro che svolgi…
Questa è una riposta che do sempre, in realtà non sono stato io a sviluppare questa passione ma è la passione che ha preso me, quindi io già da piccolo, come molti, ho iniziato con mia nonna perché i miei genitori contadini lavoravano nei campi, quindi io quando tornavo da scuola, stavo con mia nonna. Ho iniziato così a conoscere i primi procedimenti, e soprattutto ciò che mi affascinava era quel meccanismo di trasformazione di un prodotto, per esempio un pomodoro, da crudo a cotto, quindi farlo diventare salsa di pomodoro. Mi affascinava e mi affascina ancora tuttora e quell’alchimia che ho sempre sentito nel momento in cui portavo un prodotto dalla terra alla cucina è diventata poi la mia grande passione.
Inoltre, quando ero piccolo dicevo sempre che da grande volevo fare il cuoco o il pilota di aerei, ma alla fine ho scelto la mia vera passione…
Nell’arco della tua recente carriera, hai partecipato anche ad una nota trasmissione televisiva “La Prova Del Cuoco”, come descriveresti quest’esperienza e soprattutto cosa ti ha dato dal punto di vista professionale e umano?
Posso soltanto ringraziare la Clerici e la Isoardi per avermi dato innanzitutto popolarità, che va presa restando sempre con “i piedi per terra” e capendo che poi alla fine noi chef siamo sempre legati ad una sola cosa: la cucina. Comunque con queste esperienze ho avuto la possibilità di conoscere tanti personaggi del mio mondo, tanti chef importanti con cui poi sono nate delle collaborazioni, quindi, in un certo senso questa è stata la benzina che ha alimentato il fuoco.
Una piccola curiosità: il tuo incarico a Budapest, presso uno dei più noti ristornati italiani all’Estero, il “Rocco’s World”, di proprietà di una delle star italiane del cinema a luci rosse, Rocco Siffredi… Com’è hai iniziato lì il tuo lavoro? Raccontaci qualche chicca di questa esperienza.
Lavoravo in un ristornate a Roma e Rocco Siffredi era un cliente. Aveva aperto da poco questo bistrot, un ristorante molto bello di cucina Italiana tradizionale e innovativa al centro di Budapest, vicino al Parlamento. Una volta a fine serata, dopo aver assaggiato ciò che avevo preparato, mi propose di andare a seguire il suo ristornate. Sin da subito mi sono innamorato del progetto, un progetto di cucina Italiana vera e propria, che all’estero è difficile, quindi con prodotti 100% italiani. Ho lavorato lì come chef resident e come consulente.
Durante i tuoi viaggi e i tuoi innumerevoli incarichi, hai trovato anche il tempo e l’energia per scrivere ben due libri, il primo pubblicato nel 2018 intitolato “Cuore mani e mente” e il secondo di recente divulgazione, dal titolo “Pinù. La mia cucina”. Qual è stato il percorso che ti ha portato alla stesura dei due libri e in particolare su cosa si sofferma la tua ultima opera?
Questa è una bellissima domanda… c’è stato un periodo in cui ho viaggiato tantissimo, studiavo, scrivevo, leggevo, mi riposavo nei tempi morti, ciò all’aeroporto, sul volo, sul treno…
Il primo libro è nato veramente per caso, nel settembre 2017, scrissi un post sulla mia pagina Facebook in cui in maniera ironica, chiedevo se a qualcuno fosse interessato un libro di cucina scritto da me e l’idea, a dir la verità, ebbe subito un riscontro positivo. Ho avuto un sacco di adesioni, quindi iniziai a prendere delle ricette che avevo, delle foto fatte e feci un book onlineò. Credo di aver venduto più di 1000 copie che a Milano ho iniziato a spedire personalmente, fino a quando poi questo libro, ha travato delle potenzialità venendo poi successivamente stampato. Al suo interno troviamo 3 tipologie di ricette:cucina Gourmet, cucina Vegana, cucina della Tradizione, questo perché volevo abbracciare tutte le tendenze delle persone che mi hanno sostenuto e appoggiato in questo progetto
Il secondo libro, uscito anche in piena pandemia da Covid-19 del 2020, è quello che ho sempre sognato,con le ricette che mi hanno rappresentato nel corso degli anni. E’ dedicato a mio padre, a“Pinù”, cioè Giuseppe, che non ho più, e dal numero delle ricette, al giorno d’uscita, al titolo, è tutto dedicato a lui.
Attualmente stai collaborando con uno dei più grandi pastifici presenti sul territorio Nazionale che prende il nome di “ORO GIALLO”. Com’è nata la collaborazione con la famiglia Milito, proprietaria dell’azienda produttrice di pasta fresca? Come stai affrontando questa esperienza e cosa ti aspetti da questa nuova collaborazione?
La collaborazione è nata un po’ per caso. Vivevo e lavoravo a Milano, feci un evento dove c’era la pasta Oro Giallo. Vidi che era una pasta del Sud e contattai l’azienda per fare loro i complimenti per la produzione, così è nato il contatto, poi ci siamo visti a Paestum, in provincia di Salerno, e da lì abbiamo fatto degli eventi a Salerno, alla stazione marittima qualche anno fa ed in quella occasione è nata la collaborazione. Attualmente stiamo seguendo il bistrot che ha aperto il 4 agosto facciamo delle serate qui, seguiamo il menu con l’altro chef che c’è dentro e tutto il nostro team; quindi, è veramente un bel contesto nel quale lavorare e sperimentare. Inoltre, voglio ringraziare l’azienda perché sono delle persone che sanno fare impresa, sanno essere un’azienda, sanno cosa vuol dire avere dei dipendenti e farli lavorare bene,oggi cosa che è davvero difficile. Ci tengo a precisare che queste sono cose che ho già espresso anche alla stessa direzione poiché ho girato tanto e giro ancora in tutto il mondo ma non vedo questa cooperazione tra le parti.
Come ti descriveresti in cucina? Più creativo e sui generis oppure tradizionale ma al contempo attento ai cambiamenti culinari delle nuove generazioni?
Sono un mix di tutto questo, sicuramente creativo ma alla base vi è il rispetto della tradizione, perché credo che non si possa innovare se non ci sia la tradizione alle spalle, non possiamo fare un palazzo o un grattacelo, partendo dall’ultimo piano, si devono fare delle buone fondamenta e poi si può iniziare a costruire, così allo stesso modo in cucina sarebbe inutile fare un piatto gourmet o sofisticato se poi non sappiamo fare un ragù classico della nostra zona. Anche tutte le mie ricette partono da quello, per esempio, faccio una parmigiana molto più alleggerita, che ha una forma diversa, però quando la mangi ha il sapore della parmigiana. Quindi si può dire che la mia cucina è sicuramente caratterizzata da tradizione e innovazione.
Sappiamo che attualmente ricopri tanti ruoli: executive chef, pasticcere, personal chef e anche docente e consulente nell’ambito gastronomico. A quale di queste attività preferisci dedicare più tempo? Qual è l’obiettivo finale della tua carriera professionale?
Sicuramente “nasco” in cucina e “morirò” in cucina. Nei miei spazi liberi, faccio tanto altro, svolgo corsi di cucina, lavoro come consulente, preparo delle cene a domicilio e tanto altro in modo da non trascurare nulla…L’obiettivo finale della mia carriera è continuare a cucinare bene e a sodisfare il cliente che viene a cena. Non c’è cosa più bella di quando un cliente è soddisfatto del tuo lavoro.
Da stimato chef e persona quale sei, cosa consiglieresti a tutti quei ragazzi che hanno la grande ambizione di entrare nel mondo della gastronomia italiana? C’è qualche segreto o espediente che puoi rivelare?
Ci sarebbero tante cose da dire ma te ne dico una: l’umiltà a cui si deve aggiungere tanta voglia di crescere, fame di conoscenza e di vedere come funzionano le cose. Ai ragazzi che lavorano con me faccio sempre un paragone: ho iniziato a stare in cucina che avevo 13 anni e quando iniziai vicino Paestum mi dissero che non mi avrebbero pagato perché ero lì per imparare. Così ho lavorato per un intera stagione lì senza retribuzione. Non provengo da una famiglia agiatissima e ciò che mi ha spinto era la voglia di crescere e di imparare. Oggi vedo invece che manca lo stimolo per superare l’ostacolo, tutti vogliono subito arrivare alla vetta senza fare sacrifici, quindi, quello che consiglio è di avere pazienza, passione, dedizione e umiltà.
