L’importanza di chiamarsi Giorgia
-di Pierre De Filippo-
Candidamente, a Mezz’ora in più, ospite dell’arcigna Lucia Annunziata, ha confessato che sì, sarebbe pronta a guidare il Paese; che sì, sarebbe preparata a fare il Presidente del Consiglio, o meglio – evitando di incorrere in sessismi vari – la Presidentessa del Consiglio.
Lei è Giorgia Meloni, garbatellara doc, politica giovane ma d’esperienza, gagliarda, dall’eloquio poco raffinato ma spiccio, poco avvezza ai convenevoli e meno adusa ancora a quella diplomazia che, in alcuni casi, è indispensabile rispetto istituzionale.
Di lei sappiamo tante cose: che si chiama Giorgia, che è una donna, che è una madre, che è una cattolica, il che mi sembra già qualcosa. Ce lo ha detto lei, ce lo ha urlato da un palco mentre, da golosona quale è, si nutriva di fagioli con le cotiche e n’bicchiere de vino novello.
Lontani i tempi di De Gasperi. Lontanissimi.
Giorgia ha legittimato, ha rafforzato, ha avallato, ha confermato, ha consolidato, ha corroborato, ha fortificato la sua posizione facendo l’unica cosa che in Italia serve per acquisire popolarità e favore elettorale: assolutamente nulla.
È stata, buona buona, all’opposizione di tutto e tutti; è stata all’opposizione mentre gli amici della Lega governavano coi Cinque Stelle, è stata saldamente all’opposizione quando al governo c’erano le quattro sinistre, com’è stato ribattezzato il Conte bis, è all’opposizione oggi, irriducibile nella sua testardaggine, quando al governo c’è Mario Draghi che, col contributo di tutti, cerca di portare il Paese fuori dalle forche caudine della pandemia.
Ho detto che non ha fatto assolutamente nulla. Non è una valutazione soggettiva – non deve starmi né simpatica né antipatica – è un dato di fatto. Non sappiamo assolutamente nulla di come voglia gestire il Paese, non sappiamo assolutamente nulla – nun s’è confidata – su come immagina l’Italia tra vent’anni, non sappiamo quali siano le sue priorità in materia di giustizia, di bilancio pubblico, di ambiente, di infrastrutture, di sanità, di scuola.
Sappiamo solo che: non vuole i migranti, vuole che l’Italia torni ad essere pienamente sovrana, vuole ridurre le tasse.
Che uno je risponderebbe: “grazie molte”, volendo essere educato.
Però tre punti sono pur sempre tre punti, ed è corretto analizzarli: in primis, i migranti. Aiutiamoli a casa loro, anche se magari una casa non ce l’hanno, e se arrivano “affondiamo le navi come atto di difesa militare”. Di solito si dice “poche idee e pure confuse”; qui le idee sono poco ma pericolosamente chiarissime. E se dovessero continuare ad arrivare? Eh beh, Ollolanda se ne farà carico o nisba, di qui non si passa.
In secundis, riprenderci tutto quello che è nostro (che ha diverse declinazioni a seconda delle latitudini; lei direbbe ripijamose tutto…): abbiamo ceduto – come dice la Costituzione – quote di sovranità in condizione di parità con gli altri Paesi? Male, molto male, ce le dobbiamo riprendere. Come pretenderemo poi che i migranti vengano redistribuiti in Europa? E ma quelli li abbiamo affondati. E se avremo bisogno di aiuto economico? Facile, stampiamo nuove lire. E se poi la lira si svaluta e l’inflazione aumenta, mangiandosi il nostro potere d’acquisto? Aò, quante storie però…
In terzis (la Meloni esprime così tanta romanità che il latino è d’obbligo in ogni caso), ridurre le tasse. Alzi la mano chi vuole pagare meno tasse? Tutti vorremmo pagare meno tasse. E però noi che vogliamo pagare meno tasse non abbiamo votato quell’aberrazione generazionale che è stata quota100, non abbiamo insistito affinché nelle Leggi di Bilancio figurassero regali e regalini, condoni e condonini, mance elettorali e simili.
Perché non serve una laurea alla Bocconi per capire che, se spendi di più devi, presto o tardi, tassare di più.
La signora Thatcher, che aveva tutt’altra stoffa, lo diceva chiaramente che voleva uno Stato minimo, con poche tasse e pochi servizi. Era onesta, era pragmatica, era britannica. Era di ferro mentre la nostra Giorgia è di gesso: polverosa e stride quando la contrapponi alla linearità della lavagna.
Il discorso è, evidentemente, più serio di come ho deciso di impostarlo.
A Giorgia Meloni vanno ascritti assoluti meriti: ha fondato un partito – Fratelli d’Italia – ma all’inizio erano talmente tanto in pochi che parevano tutti figli unici; poi, piano piano, opponendosi opponendosi, ha iniziato a mietere successi, a convincere followers. Ha svortato, insomma, e oggi, secondo i sondaggi, è secondo partito d’Italia, dietro la Lega.
Resta un fatto: è possibile che a noi italiani piaccia solo chi si lamenta?
E questo fatto esula dalla condizione dell’amica Giorgia; siamo l’unico Paese nel quale tifiamo per l’opposizione finché non si trasforma in maggioranza, dopodiché finiamo per considerare anche loro una manica di imbecilli, come avevamo fatto con i vecchi governanti.
La verità è che dobbiamo fare pace con la testa e trattare la politica per quella che è: un’attività umana che necessità di tempo.
Il Padre Eterno, per fare presto, ha fatto Adamo ed Eva, non un grande successo…
Noi vediamo di pazientare.
Fotografia: Atbc at Italian Wikipedia, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons