L’errore di Mario Draghi: continuismo culturale

-Pierre De Filippo-

Che Mario Draghi debba diffidare della fascinazione da salvatore della Patria, che spesso ci aggredisce, lo abbiamo già detto, ma ora – volendo capovolgere il ragionamento – occorre anche spingersi un po’ più in là ed ammettere razionalmente che anche lui è uomo e, in quanto tale, può sbagliare. Peccati veniali, per carità; bazzecole rispetto a quelli imponenti commessi in passato, quisquilie, minuzie, vizi infinitesimali ma pur sempre presenti.

E allora, togliamocelo questo dente e, senza peli sulla lingua, cerchiamo di capire cosa avrebbe potuto fare il Mario nazionale di più di quello che ha fatto, o semplicemente di diverso.

Potremmo stare qui a ragionare su questa o quella nomina, su questa o quella frase, su questo o quel mancato rispetto del cerimoniale ma andremmo lontano – troppo lontano – da quello che è, a mio parere, il principale difetto di questo governo ancora in fasce.

Quando si dice che da Draghi ci si aspettava qualcosa in più si risponde, correttamente, che le dinamiche di un governo le dettano le maggioranze parlamentari e che queste sono stabilite e rispecchiano i risultati delle elezioni.

Il nostro Parlamento è figlio delle infauste – pedagogicamente parlando – elezioni del marzo 2018: dico pedagogicamente perché, ad esempio, hanno trovato il loro fondamento su informazioni false o gonfiate o parecchio tendenziose: la paventata invasione dei migranti – circa 650mila in otto anni, non pochi ma nemmeno tantissimi, soprattutto se consideriamo che in Germania nel solo 2015 ne è arrivato un milione e mezzo –, il governo massonico che salvava le banche, ree delle peggiori nefandezze (fossimo stati meno provinciali ci saremmo resi conto che il salvataggio delle banche è stata una scelta politica compiuta in tutti i grandi Paesi, a costi ben superiori dei nostri).

E così via…

Della composizione del nostro Parlamento, con tutta evidenza, Draghi non ha colpe; ne ha qualcuna in più nel non aver voluto porre un limite a questo continuismo culturale.

Laura Castelli siede ancora al MEF, indisturbatamente; Carlo Sibilia, che invocava le manette per l’ex governatore della BCE, è stato placidamente confermato al Viminale, così come Lucia Borgonzoni, che altrettanto candidamente ha ammesso di non leggere un libro da anni, è – che caso! – alla Cultura.

Sono delle scelte più di forma che di sostanza, più simboliche che sostanziali ma che la dicono lunga su una certa predisposizione a “cambiare le cose affinché nulla cambi”.

Ci saremmo aspettati, quello sì, nei limiti del possibile dei gesti simbolici, dei veti che non necessitavano di motivazioni perché si motivavano da sé, un certo indirizzo verso un nuovo modo di fare politica.

Legittimamente, ci si poteva aspettare qualcosa in più.

L’accettazione di questo continuismo è l’errore di Mario Draghi. A chi evidenzia, sottovalutandone il ruolo, la poco importanza dei sottosegretari va detto che, tornando a ribadirlo, stiamo parlando di metodo e non di merito, di simboli, di pacate sottolineature.

Mario Draghi non è – è bene dirlo con chiarezza – il futuro dell’Italia, è l’uomo che si è immolato per la sua Patria, dopo una carriera ai vertici; non ha nulla da perdere e nulla da guadagnare, nulla da dimostrare e nessuno da accontentare.

È un uomo libero dal quale ci si poteva aspettare, onestamente, maggior coraggio: un gesto forte che desse un segnale chiaro al Paese, che lo ponesse dinanzi alle proprie responsabilità, che gli urlasse in faccia l’immaturità con la quale si pone nei confronti della politica.

Così non è stato. Ma ciò non ci autorizza a disperare: sta a noi tornare a portare la politica sui binari del sano confronto, del dialogo e dei temi, delle policies.

A noi, che abbiamo in mano il futuro di questo Paese.

 

 

“EZB-Chef Mario Draghi auf der IX. Ludwig Erhard Lecture” by INSM is licensed with CC BY-ND 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nd/2.0/

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