La rincorsa affannosa del populismo
-di Pierre De Filippo-
Se è vero come è vero che è ancora forse troppo presto per parlare di arretramento del populismo, anche dopo la sconfitta di Donald Trump, The Donald, è anche vero che in più parti del globo è in un momento di ripiegamento e, con esso, i suoi tratti somatici più evidenti.
Dopo l’avvento di Mario Draghi quale Presidente del Consiglio incaricato più cose sono cambiate nel volgere di pochi giorni: il Movimento 5 Stelle, frustrando la sua ala più barricadera, ha prima ammorbidito grandemente i toni, per bocca del suo poco carismatico reggente Crimi, per poi addirittura rinviare le votazioni su Rousseau per ascoltare le proposte di Draghi.
In campo sono scesi sia Beppe Grillo, che ha presenziato alle consultazioni, forte del suo ruolo di padre nobile e fondatore, e Giuseppe Conte, che ha dichiarato che, fosse per lui, voterebbe si al quesito che verrà posto sulla piattaforma del partito.
Una bella inversione a U, rispetto alla quale dispiace constatare che il Movimento pecchi sempre di impulsività prima di parlare; se lo facesse, forse, eviterebbe di dover tornare indietro creando malcontento non solo tra i suoi maggiorenti ma anche tra i tesserati ed elettori.
Discorso pressoché analogo può essere fatto per la Lega, la quale nell’ultima votazione al Parlamento europeo ha finalmente sciolto le riserve votando positivamente alla proposta di Recovery Plan, dopo essersi astenuta alla prima votazione.
Più in generale, pare si respiri aria nuova in quel di Via Bellerio: dopo i primi categorici annunci di Salvini, pronto a chiedere a Draghi di confermare quota100 – nonostante l’andamento dei dati, che avrebbe voluto sottoporre all’ex Presidente della BCE, per nulla in linea con le aspettative – e ad insistere con la flat tax, dopo aver ricevuto un secco “no” direttamente da Draghi, che ha chiarito che il sistema fiscale deve essere, come Costituzione vuole, “informato a criteri di progressività”, è rimasto calmo ed anzi ha rilanciato, garantendo di non porre alcun veto, alcuna condizione circa l’operato del nuovo governo.
Certo, il populismo è sempre tale e, presto o tardi, tornerà a manifestare le sue stimmate, i suoi tratti più pedagogicamente discutibili ma tant’è, in una situazione così difficile prendiamoci il buono di ogni circostanza.
La legislatura era cominciata, la notte del 4 marzo, con la Caporetto dei cosiddetti partiti istituzionali, PD e Forza Italia, e con l’affermazione di due forze, diversamente ma categoricamente, anti-establishment, antieuro, antieuropeiste.
Siamo passati sotto le forche caudine del Conte I, di Paolo Savona e del suo piano B per uscire dall’Euro, dai “decreti sicurezza” al tunnel che funzionava a meraviglia ma che ancora non c’era di Toninelli. Abbiamo sperimento le incongruenze e le ambiguità del Conte bis, i suoi litigi mattina, pomeriggio e sera, le mattate di Renzi ed il covid; abbiamo atteso la ricerca dei responsabili per la creazione del Conte ter, attraverso i quali dare il benservito a Italia Viva.
Siamo dei sopravvissuti, non c’è che dire. E però concludiamo questa pazza legislatura con Mario Draghi, che è sinonimo di garanzia e di affidabilità – i mercati l’hanno già dimostrato, facendo arrivare lo spread fin sotto quota 100 –, ma anche di progettualità e sguardo al futuro.
Il populismo rincorre affannosamente perché esaspera le ansie e le paure soprattutto quando queste sono poco giustificate e giustificabili; quando, invece, come in questo caso, il pericolo è vero e tangibile, ognuno cerca il meglio, riponendo il ribellismo in soffitta.