Covid-19: all’inferno della terapia intensiva e ritorno. La storia di Patrick Minichino.
– di Claudia Izzo-
Quarantotto anni, di Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta dove vive, Gioacchino Patrick Minichino è proprietario dell’agenzia di viaggi Going around che rievoca nel nome una vita di partenze e ritorni, di viaggi in giro per il mondo per visitare paesi diversi, ampliare gli orizzonti. Patrick ama il suo lavoro, adesso più che mai perché ha avuto la possibilità di fare il viaggio più duro della sua vita, quello in terapia intensiva dopo aver contratto il Covid-19, e di tornare indietro. Un viaggio pazzesco il suo nel reparto di terapia intensiva, il più difficile della sua vita, un’andata all’inferno e ritorno. Ora Patrick è qui, l’incubo è finito e può raccontarlo.
-Quando hai cominciato a sentirti male?
Il 21 febbraio sono partito da Napoli per Edimburgo, avevo deciso di trascorrere quattro giorni sul Lago di Lockness. Questa volta, essendo solo e volendo conoscere un pò di giovani, mi sono appoggiato ad un ostello per dormire. Qui ho avuto la prima sensazione di malessere, tossivo e sentivo di avere qualche decimo di febbre. Nel pullman per Edimburgo sentivo di avere gli occhi lucidi. A Napoli al controllo della temperatura sono risultato sfebbrato ma ricordo bene di aver detto agli addetti alla misurazione di rimisurarla perchè davvero non mi sentivo bene. Ma il destino ha scelto diversamente e in quel momento non sono risultate linee di febbre. Il giorno dopo avevo la temperatura alta con un mal di testa fisso. Mi sentivo malissimo. E’ venuto il medico a casa, senza mascherina e mi ha prescritto una urgente radiografia in ospedale che ho provveduto a fare celermente. Diagnosi: broncopolmonite. In ospedale tutti senza la minima protezione. Mi viene data una cura da seguire a casa. Alla mia quarta iniezione sto sempre peggio. Ho iniziato ad avere seriamente paura. Sono stato dieci giorni in autoisolamento, capivo benissimo che le cose non andavano bene. Mi facevo lasciare le pietanze innanzi alla porta dai miei parenti. Avevo necessità di fare il tampone ma nonostante le mie numerose sollecitazioni al 112 non è mai arrivato nessuno fin quando mi sono fatto prelevare dall’ambulanza dell’ospedale S. Anna e S. Sebastiano di Caserta. Qui il tampone ha dato esito positivo.
-Qui è iniziata la tua discesa agli inferi nell’ambito della quale hai subìto una tracheotomia per costruire una comunicazione respiratoria diretta e reversibile tra l’ambiente esterno ed il lume tracheale…
Respiravo a fatica. E’ vero, con questo virus si ha fame di aria. Terribile. Sono stato portato in una sala operatoria dove ho subito una tracheotomia. Ero su un letto dove venivano controllate le funzioni vitali.
Da allora in poi?
Sono stato assente per venti giorni. Per me si è aperta un’altra realtà sulla linea di confine tra la vita e la morte. In terapia intensiva si vive in un’atmosfera surreale, in una realtà da incubo. Ti senti altrove, in un altrove che non riesci neanche a descrivere dove ho vissuto una serie infinita di sogni. Mi sembra di aver vissuto quei venti giorni fuori dal mondo, in una vita parallela. Vedevo gelatine nere che cercavano di risucchiarmi giù e una luce bianca. Ho visto persone che sembravano anime più che persone vive, erano tante. C’è stato un momento in cui non avevo percezione di niente, avevo la sensazione che mancava poco per ritrovarmi altrove, era come se stessi per mettere un piede in un altro mondo.In un momento di lucidità ho chiesto a Dio di farmi vivere…avevo ancora tante cose da fare. Poi, mi sono visto in un prato verde, vedevo tante mele rotolare, non saprei dire se era una infermiera nella realtà o una signora nella mia immaginazione ma ho visto una signora, un essere superiore che mi veniva accanto e mi diceva di stare tranquillo, che sarebbe andato tutto bene. Da allora ho iniziato a stare meglio. Tanti i medici e gli infermieri che mi stavano intorno, non mi hanno fatto sentire mai solo.
-Da allora è trascorsa una settimana,sei tornato alla vita..
Ho sentito il personale medico e paramedico fare il tifo per me. Alla fine ho avuto una percezione di tranquillità con un grande desiderio di azzerare qualsiasi forma di astio verso chiunque. Adesso piano piano sto migliorando la forma fisica, la forza anche nel parlare. Vedere le persone che soffrono, che muoiono accanto a te è qualcosa di terribile. C’è tanto bisogno di preghiera e di aiutare gli altri. Approfittiamo di questo periodo di isolamento per capire che non siamo i padroni del mondo, è bastato un virus a metterci in ginocchio. Non dobbiamo essere superbi, possiamo essere annullati in un soffio. Si può morire avendo malattie pregresse, ma si può morire se si è sani. Io potevo non essere qui a raccontare questa storia. C’è tanto bisogno di fare del bene a questo mondo. Ed è questo che intendo fare ora. Questa esperienza mi ha fatto rendere conto di quanto siamo fragili e di quanto scivoli via questo tempo. Sarà cosa buona spenderlo bene, dedicandoci a coloro che hanno bisogno di noi. La vita è davvero una.
