Joker: Taxi Driver per una notte

Arriva in Italia il controverso film di Todd Phillips. Che controverso non è. – di Francesco Fiorillo- 

Il cinema spesso inganna. Come un pagliaccio da circo, può indossare trucchi e maschere, far finta di essere quello che non è per strapparci una lacrima o un sorriso. Così, un film che riscrive le origini del Joker, la celebre nemesi di Batman, può travestirsi da pellicola politicamente e socialmente impegnata. Può attingere in modo spudorato all’immaginario e ai temi di Taxi Driver Re per una notte di Scorsese, per guadagnare gravità e realismo. Può poggiarsi sulle spalle di un attore monumentale come Joaquin Phoenix per mettere in scena uno straziante dramma sulla solitudine, la follia e la vendetta. Ma se lo si osserva con attenzione, sotto il cerone e le parrucche, un film rivela sempre la sua vera natura. E Joker, pur con la sua eccellente regia, fotografia e colonna sonora, non è il film maledetto che cerca così disperatamente di essere. Anche se è violento, e mette in scena una rivolta armata delle classi povere contro i privilegi della borghesia, la sua critica sociale e la sua carica sovversiva sono pari a zero. Con buona pace degli americani che lo hanno tanto temuto.

Ancor prima di approdare nelle sale, il film di Todd Phillips è stato preceduto da un vespaio di polemiche. Presentato in anteprima all’ultima Mostra di Venezia, dove ha vinto il Leone d’oro, la pellicola ha da subito destato le preoccupazioni di critici e social media: in un momento storico in cui l’America è afflitta da atti di violenza e da una diffusione incontrollata delle armi da fuoco, è giusto che il pubblico si trovi ad empatizzare con un pazzo omicida? Non si corre il rischio che qualcuno ne possa emulare le gesta?

Dopotutto, lo spettro del Massacro di Aurora aleggia ancora nelle coscienze degli americani: nella notte tra il 19 e il 20 luglio 2012, un uomo con una maschera anti-gas sparò durante la proiezione della prima de Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno di Christopher Nolan in un cinema del Colorado, uccidendo 12 persone.

I commenti del regista e della Warner Bros, che hanno ribadito la natura fittizia del personaggio e della storia, non hanno fatto altro che alimentare e pubblicizzare la controversia. E così, diversi cinema americani hanno rifiutato di proiettare la pellicola, o hanno aumentato le loro misure di sicurezza. Persino da noi, forse per una coincidenza, è accaduto qualcosa di simile: la catena UCI, proprio in concomitanza con l’uscita del film, ha rilasciato su Facebook un comunicato che vieta l’introduzione di maschere e armi giocattolo nelle sale del suo circuito.

Ma Joker non è un film pericoloso: è una bomba disinnescata, un semplice palco per la performance, seppur straordinaria, del protagonista; tutto il resto, è solo un pretesto. Un gioco di specchi e di rimandi per compensare una scrittura debole, e definitivamente banale. La mitologia di Batman è un semplice costume da indossare, una citazione gratuita non approfondita in maniera soddisfacente. E non basta ambientare la pellicola negli anni ’80, mostrare una New York-Gotham City degradata e sporca, e coinvolgere Robert De Niro (ormai l’ombra di sé stesso): Joker non è Taxi Driver, non è Re per una notte, non è Toro scatenato…anche se cerca di sembrarlo.

Ma allora cos’è? Prima di tutto, uno studio sul personaggio di Arthur Fleck: ed è qui che il film splende davvero, senza dover tirare in ballo paragoni scomodi.

 

 

 

 

Arthur è un uomo depresso e alienato, tormentato da un disturbo che lo costringe a una risata isterica nei momenti di crisi. La sua è un’esistenza misera: sbarca il lunario facendo il clown, vive con la madre anziana in un quartiere dei bassifondi, e sogna un giorno di diventare un famoso comico. Il protagonista si muove all’interno di una città lurida e amorale, in cui la discrepanza fra ricchi e poveri è insormontabile; prova con tutte le sue forze ad essere positivo per realizzare il suo sogno, ma la società che lo circonda è indifferente e crudele, e gli riserva solo delusioni e umiliazioni.

Nel frattempo, la sua salute mentale peggiora: la frustrazione diventa rabbia, e la rabbia diventa violenza. Quando tre ricchi viziati, una notte, lo provocano durante un fatale viaggio in metropolitana, la furia del protagonista esplode, e da quel momento non c’è più possibilità di ritorno. Mentre la sua maschera da pagliaccio diventa un simbolo della rivolta delle masse dei diseredati contro i ricchi onnipotenti, Arthur comincia il suo percorso di vendetta verso chiunque lo abbia tradito: il sangue, forse, potrà lavare via le ingiustizie, e trasformarlo in un eroe oscuro.

La prova di Phoenix è davvero indimenticabile (già si parla di Oscar). Ogni più piccolo particolare della sua interpretazione veicola dolore: dal corpo nervoso, consumato, quasi scheletrico, alla sua risata agghiacciante, simile ad un grido, così carica di sofferenza da spezzare il cuore.

La sua discesa all’inferno è un viaggio dell’anima, che seguiamo passo dopo passo, partecipi della tragedia che consuma un uomo ingiustamente emarginato da una società che non vuole capirlo.

Ecco, questo è Joker.

Ma se Arthur Fleck è realistico, controverso e stimolante, il resto della pellicola non lo è. La morale sociologica è ingenua e datata, e i personaggi di contorno appaiono fiacchi, scontati e bidimensionali. E così, nella tensione fra cinecomic e film d’autore, Joker non riesce ad essere completamente né l’uno, né l’altro.

E’ ironico che lo stesso Scorsese, in questi giorni, sia al centro di una polemica per aver dichiarato che i cinecomics non sono vero cinema. “Questo non è il cinema degli esseri umani che tentano di trasmettere delle esperienze emotive e psicologiche ad un altro essere umano”, ha dichiarato il celebre regista in una recente intervista con Empire Magazine.

Forse le sue parole sono troppo dure: sebbene sia vero che molti film ispirati ai supereroi siano superficiali, in questi anni molte sono le pellicole di questo genere che cercano di superare i loro stessi limiti (persino in Italia, si pensi a Lo chiamavano Jeeg Robot).

Forse un’opera come quella di Todd Phillips, se avesse il coraggio di sbarazzarsi degli ingombranti riferimenti al cinema “alto”, potrebbe rappresentare il primo passo verso un nuovo tipo di cinecomic. Un apripista che, pur ispirandosi a personaggi dei fumetti, possa trasmettere emozioni e significati complessi.

Un cinema di supereroi, per esseri umani.

 

Francesco Fiorillo

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