Sanremo 2019. Alla fine sono solo canzonette… con sorpresa finale

Il Vincitore della 69° edizione del Festival di Sanremo è Mahmood. Qualcuno è sorpreso? Io un pò si, per come sono andate le cose quest’anno all’ Ariston, che ricordo, negli annunci di Baglioni, doveva essere un festival non politico. E così è stato fino al momento della proclamazione del vincitore: un egiziano 100% italiano. E qui qualcosa di politico andrebbe detto. Ma non lo farò, mi limiterò a dire “ciò che non uccide fortifica”. 

Ma parliamo di musica. Gli altri vincitori sono stati Daniele Silvestri che ha preso il premio della critica, Ultimo che a dispetto del nome ha sfiorato la vittoria ma ha ricevuto il premio Tim e infine Cristicchi che ha preso il premio assegnato dall’Orchestra, anche se il brano sembra la fotocopia di cose già scritte dallo stesso autore.


Ció detto, questa edizione del Festival mi ha annoiato. Il peccato originale è stato quello di riproporre una seconda edizione del Festival che un anno fa, tutto sommato, ottenne buoni risultati. E non mi riferisco ai dati di ascolti, ma alla qualità delle canzoni.

Il rischio di un flop (e ripeto non mi riferisco agli ascolti) era piuttosto alto, eppure l’errore è stato commesso.  Ma andando oltre la formula, e soprassedendo alle troppe chiacchiere e scenette (che oserei chiamare “scemette” nonostante le innegabili doti comiche dei co-conduttori) tra un brano e l’altro, restano le canzoni (anche queste troppe) e gli interpreti, per alcuni dei quali potremmo dire “ma chi è?” e per altri “Oddio è ancora qui!”. 

La finalità di questo Festival era rappresentare efficacemente il modello musicale italiano più attuale e moderno possibile. In questo, purtroppo,  ha centrato l’obiettivo.  Ma la cosa che è emersa prepotente sono le discutibili esibizioni live dei protagonisti. In tantissimi hanno stonato più e più volte dimostrando non solo di avere scarsa attitudine al palco, ma soprattutto di non saper valutare se la canzone è adatta alle proprie capacità canore. Insomma  in tempi in cui si vendono pochi dischi, e l’esibizione live torna centrale nella promozione di una canzone, non saperla cantare perché sei stonato o non sei capace di raggiungere le note alte (o quelle basse) previste dalla canzone, caro artista, o cambi autore o cambi mestiere.

Ma cosa hanno ascoltato i giudici durante la fase di selezione delle canzoni? La registrazione che ora si ascolta su Spotify o una esibizione dal vivo? Temo la prima, sicuramente più bella ed ingannevole (perché aggiustata ad hoc per eliminare ogni difetto) rispetto alle esibizioni live che sicuramente non saranno sarebbero state molto diverse da quelle ascoltate all’Ariston. 

Ma ora vediamo chi buttare  giù dalla torre e chi salvare, con una importante precisazione: la valutazione è fatta basandomi sulla versione registrata della canzone perché diversamente finirebbero tutte negli inferi.

Su

  Ultimo: una buona canzone, radiofonica e in perfetto stile sanremese.

  Irama: anche questa è una buona canzone. Di facile ascolto e molto radiofonica anche questa.

  Enrico Nigiotti: canzone con un buon ritornello ed un buon testo.

  Motta: un buona canzone ma il ragazzo ha potenzialità ancora inespresse.

  Daniele Silvestri: la canzone più potente di tutte, di ascolto non immediato ma può fare breccia.

  Ex-Otago: non è un capolavoro ma è orecchiabile. Il gruppo ha delle ottime possibilità. Ma deve ancora metterle tutte in mostra.

  Francesco Renga: una canzone sanremese per eccellenza. Renga la canta senza urlare. Piacerà molto agli inguaribili romantici.

  Boomdabash: il perfetto tormentone estivo. All’ascolto funziona e loro sono quelli che hanno saputo cantarla senza stonare. Bravi.

  The Zen Circus: Mi aspettavo  un approccio più rock invece il brano è meno “tosto” di quanto dovrebbe, ma ha un bel testo.

  Ghemon: diciamolo subito, dal vivo ha cantato malissimo, ma la sua canzone è molto bella.

  Negrita: è un tipico brano dei Negrita, assolutamente riconoscibile (e questo è un pregio che vale moltissimo) ma hanno scritto di meglio. 

Giù

  Achille Lauro: veramente brutta. Naturalmente avrà successo tra i ragazzini, ma sarà presto dimenticata. Inspiegabile, ma sospetto, l’entusiasmo di alcuni noti critici per questa “canzone” che ha un testo, diciamolo senza timori, banale come pochi a cui provano ad attribuire significati che non ha.

  Shade e Federica Carta: sembra la fotocopia di tante canzoncine tutte uguali. Si dimenticherà presto.

  Mahmood: nonostante la sorprendente, ma forse neanche tanto, vittoria il suo brano resta una canzonetta per teen-agers. Confidiamo in un futuro artistico più curato nei contenuti perché le possibilitá di fare meglio ci sono.

Nicola Olivieri

Nicola Olivieri

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